Pupone e pompierone

Roberto Beccantini3 marzo 2013

Cameriere, champagne (anche per l’arbitro, già che ci siamo). A 36 anni, Francesco Totti ha raggiunto Gunnar Nordahl. Il pupone come il pompierone: 225 gol in serie A. Tutti per la Roma, che è stata e rimane il suo amore, la sua forza, il suo limite. E’ stata una notte bella ma non facile, dal rigore-omaggio alla personalità del Genoa. La storia si porta via la cronaca. Resta, Francesco, l’ultimo dei numeri dieci di un calcio romantico e deportato, più completo di Roberto Baggio, Roberto Mancini, Gianfranco Zola e, noblesse oblige, Alessandro Del Piero.

Ha vinto poco, in rapporto alle risorse. Giampiero Boniperti e Giorgio Tosatti me l’hanno descritto come il giocatore più vicino al leggendario Valentino Mazzola, nel repertorio e come uomo squadra. Il fisico gli ha permesso di essere tutto, e di tutti: prima e seconda punta, rifinitore, mezz’ala. Pigro da legare, indisponente e geniale da impazzire. A Roma, per mezza Roma, Francesco incarna una sorta di religione, da opporre al culto nordista. Avesse scelto Madrid, Milano o la Juventus, a quest’ora parlerei di qualche gol in meno ma di molti trofei in più.

Evviva Totti e abbasso il tottismo, foriero, come tutti gli «ismi», di censurabile fanatismo. La carne è debole, e anche la sua lo è stata: sputo a Poulsen, pedata nel sedere a Balotelli, calcione a Pirlo. Davanti, non gli resta che Silvio Piola, irraggiungibile a quota 274: insieme, avrebbero formato una coppia straordinaria.

L’indotto, pittoresco e a volte grottesco, non mi interessa. Mi interessa Totti, gran cannoniere e gran passatore. Per Norman Mailer, il talento non è che «equilibrio sul bordo dell’impossibile». Ecco: sotto quell’aria da discolo pasoliniano, ribadita anche nel bisticcio con Kucka, Totti ha sempre frequentato il bordo facendo pubblicità all’impossibile.

‘O Orsato ‘nnammurato

Roberto Beccantini1 marzo 2013

Non prendiamoci in giro, e neppure per i capelli. Un arbitro normale di un Paese normale avrebbe ammonito Chiellini ed espulso Cavani alla fine del primo tempo. Lo giustificava la gomitata dell’attaccante: netta, violenta, al di là delle provocazioni e della consecutio. Orsato, graditissimo dal Napoli, ha chiesto lumi a De Marco, puntuale nel mimargli il gesto. Già a Roma, Rocchi aveva graziato De Rossi. La Juventus che si lamenta degli arbitri è come il Papa che si lamenta del Giubileo (citazione mia), ciò premesso Orsato è stato un vigliacco. Qualcuno glielo ricordi. E qualcuno ricordi a Chiellini che, a forza di copule e di shampoo, rischia un paio di rigori a partita.

La sfida, adesso. Modesta, grigia, avara. Il risultato rispecchia il buon primo tempo della Juventus, subito in vantaggio e a un pelo dal raddoppio, e la generosa ripresa del Napoli, culminata nello scarabocchio di Dzemaili a porta vuota. Hamsik e c. si sono cimentati nel tiro da fuori, Vucinic e Giovinco hanno cercato di guadagnare l’area. E’ mancato, ai campioni, l’ultimo passaggio. Sull’altro fronte, Cavani continua a non segnare, e ha deluso Pandev, uno che di solito contro Madama si trasfigura.

Non è la prima partita del secolo che si riduce a un peto. La Juventus conserva i sei punti di margine, sette in caso di arrivo alla pari (pesa il 2-0 dell’andata). Non sono ancora sufficienti, ma non sono nemmeno pochi. Mancano undici giornate: senza la Champions di mezzo, credo che la Juventus non avrebbe problemi; così, invece, ne avrà perché dovrà dosare le energie.

Juventus matura, sì. E Napoli al quarto pareggio di fila: Lazio, Sampdoria, Udinese, Juventus. Con Dzemaili al posto di Britos, Mazzarri è passato alla difesa a quattro, cementando l’assetto. Alla fine, i calcoli armistiziali hanno prevalso sulle fregole di classifica. Contenti loro.

Il mio “cane”

Roberto Beccantini24 febbraio 2013

Non capitava spesso che la Ucla del mitico John Wooden perdesse. Un giorno capitò. E una cronista, petulante, lo fece presente al coach: «Avete giocato da cani». Sarà stato il paragone. Sarà stato il tono. Fatto sta che Wooden non gradì: «Piano con i termini, signorina, perché questi sono i “miei” cani».

Dal basket al calcio, il trasloco può essere laborioso ma suggestivo. Ho pensato ai «cani» di Wooden guardando Sebastian Giovinco. E ci ho pensato da presidente dell’associazione Giùlemanine da Giovinco. In fuorigioco e, spesso, fuori dal gioco. Generoso ma sterile. Per tutti gli attimi meno uno: quello del gol. Dico subito che Juvents tre Siena zero è risultato obeso, esagerato. La traversa della ditta Emeghara-Buffon (che balzo!) e il palo di Terlizzi avrebbero giustificato uno scarto meno netto.

Il sedere, a volte, assomiglia a un’ascella (un nome a caso: Isla) e a volte a un ginocchio (un altro nome a caso: Lichtsteiner), basta mettersi nei panni della tribù beneficiata.

Giovinco, Vucinic: la pazienza è un confine sottile, per il quale i lettori sono disposti a ogni genere di moccolo. Doveva rialzarsi dopo le vacanze romane, la squadra di Conte, e il Siena era un osso duro. Non solo: l’eccesso di diffidati e l’operazione Napoli avevano suggerito rimpasti di formazione e castità agonistica.

In via eccezionale, i campioni hanno vinto passeggiando. Si è rivisto persino Giorgio Chiellini. Giovinco ha, così, raggiunto Fabio Quagliarella, sette gol a testa. Sono loro i cannonieri della Juventus. Loro. Conte, lui, ha sei punti in più (58 a 52) e un piede nei quarti di Champions League. Un anno fa era ancora imbattuto, oggi ha già perso cinque volte (quattro in campionato, una in Coppa Italia). Meno gioco, più vittorie. Il calendario non dà tregua. E Giovinco, bé, Giovinco è questo qua. Anche le formiche non loro piccolo fanno i…